mercoledì 31 agosto 2011

Apple al Campania

Non ho sbagliato ad utilizzare preposizione perchè questa volta la Apple sta veramente per arrivare al Centro Commerciale Campania in Campania. E' da alcuni giorni infatti che è comparso questo mastodontico separè tutto nero e con il logo e la scritta Apple:

dietro si cela il nuovo Apple Store che aprirà presumibilmente a settembre, forse in concomitanza del lancio del nuovo iPhone 5. Il negozio si trova al primo piano proprio a fianco della libreria Mondadori. E' una vera gioia sapere che non dovrò più prendere mille automezzi pubblici per arrivare a Roma Est, e non potete immaginare quanta pioggia e vento ho preso l'inverno scorso per andare all'Apple Store di Roma. In verità ci andavo con piacere e probabilmente continuerò ad andarci perchè c'è un carissimo amico che lavora lì.

Nell'attesa dunque che apra anche in Campania, a pochi chilometri da casa dei miei genitori, un Apple Store vi informo che la qualità non è acqua e la Apple ne sa qualcosa.

Cosa sono queste?

delle cuffiette? Sì sono delle cuffiette, ma sono le cuffiette del mio iPhone che hanno subito un procedimento molto particolare. Venerdì scorso ho preso il treno per tornare giù dai miei e quindi ho usato l'iPhone e queste cuffiette per ascoltare un po' di musica, il tutto condito da una sauna gentilmente offerta da Trenitalia tutto compreso nel biglietto. Dovete sapere, infatti, che Trenitalia in estate vi offre saune tropicali e in inverno clima siberiano per tenere giovane la pelle. Dunque, appena giunto a destinazione ho riposto l'iPhone in tasca e le cuffiette nel taschino della camicia che era ormai zuppa di sudore. Arrivato a casa immediatamente doccia e butto la camicia nei panni da lavare. Capirete come mia madre con gran solerzia abbia preso la camicia e buttata in lavatrice, lavaggio a 60 gradi e centrifuga. Ci mancava solo la stiratura quando all'improvviso mia madre si accorge di un filo che sporge dall'oblò della lavatrice: erano le mie cuffiette "ma avevi le cuffiette nella camicia?", "sì, ce le avevo" :(

Morale della favola le mie cuffiette profumano di bucato fresco e funzionano perfettamente, si sentono perfettamente e i tastini per il volume e cambio canzoni funzionano perfettamente. Stavolta devo spezzare un fustino Dash a favore di Apple.

Viva l'iPhone, viva Apple.

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martedì 30 agosto 2011

La prima volta (summer re-edition parte 8°)


Quel pranzo fu un vero e proprio incubo e non solo per le portate quasi tutte interamente a base di pesce. Fu una specie di fuoco incrociato su di me, una sfilza di domande interminabili su cosa facessi, chi fossi, chi fossero i miei genitori, che lavoro facessero, dove abitassi.
Domande alle quali cercavo di rispondere a metà tra il serio e il faceto perché avevo paura di beccare un contatto tra quella famiglia e la mia.
Stavo lì in incognito, la mia posizione era nota solo al mio migliore amico e alla sua ragazza, nel caso fossi finito nella trappola di un serial killer approfittatore di giovani vergini indifesi, non potevo permettere che qualcuno ne parlasse ai miei.

Come avrei giustificato la mia presenza in quel paese sperduto della Sardegna?E chi era il ragazzo che mi ci aveva portato? Perché mi ci ero recato di nascosto? Tutte domande alle quali non avrei mai voluto rispondere. Per cui ogni volta che potevo sviavo la conversazione su altre persone, rincitrullendole con complimenti a gogò e domande fintamente interessate.

Per fortuna il resto della giornata fu decisamente molto più entusiasmante. Decidemmo di visitare le campagne intorno al paese, ricche di nuraghi e di segni imputabili agli uomini primitivi che secoli addietro avevano abitato quei luoghi. Sbattendoci di albero in albero e di pietra in pietra, strusciandoci ora qui, ora lì, scambiandoci baci furtivi e palpate ora al culo, ora al pacco, ci arrampicammo per qualche chilometro su un costone di roccia a picco sul mare, in cima al quale, di fronte alle onde che si infrangevano sugli scogli in quella fredda giornata invernale, mi strinse forte e mi baciò. Un bacio lungo e passionale, il primo dato a un uomo alla luce del sole, tanto che appena me ne accorsi lo spinsi velocemente indietro. Fu una specie di riflesso involontario, una molla che scattò nel mio cervello imponendomi senza pensare di fare così.

La felicità di quei momenti, all’epoca, purtroppo non durava nel tempo. Svaniva nell’istante in cui cessava la sorpresa di quel gesto, lasciando il posto ai soliti pensieri. Quelli che ti convincevano che tutto era sbagliato, il posto, la persona che ti abbracciava, le bugie dette per essere lì, quelle dette per continuare a restarci, tutto. Io in primis che prendevo per il culo un’intera famiglia sbattendomi il figlio nella stanza accanto a quella dei nonni. Chissà come avrebbero reagito una volta venuti a conoscenza della verità. Avrei tanto voluto stare lì senza il peso di tutte quelle stronzate. Ero stato accolto incredibilmente bene da tutti, mi avevano fatto sentire subito a mio agio, ma purtroppo non sapevano niente di me e non potevo fare a meno di chiedermi se quell’accoglienza sarebbe stata la stessa se avessi detto loro la verità.

Verità che ovviamente non arrivò mai, nemmeno il terzo giorno quando, dopo un’intera notte di sesso e tenerezze decisi che era finalmente giunto il momento di tornare a casa…

Gigi

lunedì 29 agosto 2011

Sano trash cagliaritano.

Manco dalla capitale sarda esattamente dal giorno della mia laurea. Con questa canzone spero di recuperare un po’ slang e parlata cagliaritana che nel frattempo ho perso.



No scherzavo. Per fortuna non l’ho mai avuta.

Gigi

domenica 28 agosto 2011

Irene: un bluff o quasi


Pare che il pericolo sia passato, da uragano categoria 1 Irene è stata declassata a semplice tempesta tropicale. Io non gliel'avrei fatta passare liscia, dopo tutta quella fatica per arrivare nella Grande Mela ti declassano pure, ma abbiate un poco di rispetto per un'anziana signora che si avvia verso la fine dei suoi giorni.

I giornali avevano previsto l'apocalisse, il Tg1, sì quella sottospecie di telegiornale pseudopubblico al servizio di Minzolingua, addirittura ha usato scene del film "The day after tomorrow" per propinare i suoi fantomatici servizi giornalistici sull'uragano in questione.

Ovviamente sono contento che la stupenda New York sia rimasta indenne e che la popolazione non ha subito eccessivi danni, ma il pensiero va a tutto questo allarmismo che si è creato intorno all'uragano. Certo, a volte è meglio essere molto cauti e prendere tutte le contromisure necessarie piuttosto che finire come da noi quando nessuno si preoccupò dei segnali sismologici del territorio aquilano, ma bisogna però anche evitare il terrorismo perchè, forti della storiella al lupo al lupo, la prossima volta la gente non ci crederà e ci potranno essere conseguenze serie.

Tutto questo cappellozzo per dire che ormai i media amplificano così tanto le notizie che non si riesce più a graduarle secondo un metro convenzionale di importanza.

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Pensieri…


Nel momento in cui questo post verrà pubblicato avrò già rincontrato Andrea dopo un lungo periodo di lontananza forzata.

I piani, qualche tempo fa, erano ben diversi. A quest’ora avrei dovuto scrivervi dalla mia bella scrivania su, nel Nord Italia, ma eventi del tutto inattesi e dei quali avrei fatto volentieri a meno, hanno rimandato tutto a data da destinarsi.

Non sono stati dei mesi facili. Siamo ben lontani da quel modello di coppia perfetta che forse avevamo un po’ troppo idealizzato.
Prima di tutto perché viviamo ancora lontani e vivendo distanti è difficile valutare il nostro rapporto nella quotidianità. Possiamo basarci solo sui giorni in cui effettivamente siamo stati insieme, che non potevano che essere stupendi, altrimenti avremmo già mollato tutto da tempo.

Ci sono stati parecchi alti e bassi e per la prima volta, qualche dubbio, che spero verrà completamente dissipato durante questa manciata di giorni insieme. Siamo passati, tra le altre cose, a quella fase del rapporto durante la quale ormai ci si conosce, durante la quale si pensa al futuro senza più quelle incertezze iniziali che servono da paracadute nel caso finisse tutto in malo modo.

Se da una parte è stupendo poter sognare e programmare il futuro con la persona con la quale speri di condividere il resto della tua vita, dall’altra è un po’ strano.
Nel senso che pur gioendo per ciò che abbiamo e per i progetti che intendiamo realizzare a breve, ho perso un po’ la spensieratezza e l’incoscienza che avevo due anni fa. Quella che giustamente o no ti impedisce pure di riflettere.
Sono sempre pronto a mollare la famiglia, gli affetti che ho qui, la mia terra per la quale da sardo DOC ho un attaccamento quasi morboso, ma con un po’ di nostalgia e pensieri in più. Pensavo sarebbe stato più semplice di ciò che in realtà si va profilando… 

Spero che vada tutto bene…

Gigi

sabato 27 agosto 2011

Invito a Napoli


Magari non proprio una notte perchè sarebbe logisticamente complicato da organizzare, ma una giornata da trascorrere tutti insieme a Napoli non sarebbe una cattiva idea.

Partenza da Roma Termini, in meno di due ore a Napoli per poter fare una abbondante colazione con sfogliatelle ricce o frolle, aragoste, babà o la più tradizionale cappuccino e cornetto. La colazione serve per ambientarsi al nuovo "mondo". Con lo stomaco pieno saremo pronti per una passeggiata panoramica nella città di Pulcinella, in quella città dai mille colori e dalle tante sfaccettature. Ovviamente non potrà mancare la degustazione della popolarissima pizza napoletana in una pizzeria sul lungomare oppure, raggiungendo il centro storico, in una di quelle che gli storici ritengono la più antica pizzeria di Napoli.

Mi rendo conto che mettere insieme un po' di persone non è facile perchè gli impegni sono vari e diversi, ma questa è un'idea che lancio ai lettori del blog.

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La prima volta (summer re-edition parte 7°)


Un tonfo sordo riecheggiò per tutta la camera. Quel letto maledetto cozzò contro il muro. I vecchi fortunatamente non si svegliarono. Sotto tonnellate di coperte, in boxer, morivo di freddo, quando chiusa la porta a chiave mi raggiunse anche lui.

Spense la luce prima di spogliarsi. Tanto che appena lo abbracciai ebbi per un attimo la sensazione di stringere un grizzly. Avevo immaginato, dai ciuffi che spuntavano dalle scollature delle sue magliette da tamarro che fosse un po’ peloso. Non quanto una tigre siberiana però. Non so per quale strano motivo iniziò a sballottarmi ora a destra ora a sinistra, come fosse un alligatore che ruota su se stesso per dilaniare la sua preda, mentre mi strusciava ovunque il suo arnese. Io non sapevo né cosa fossero i preliminari, né dove mettere le mani, perciò, per non saper né leggere né scrivere, cercai di andare sul sicuro.

Lesto come una volpe, dopo due giri di lingua intorno all’ombelico me lo ficcai in bocca, semidilaniandolo tra in denti. Se avesse potuto avrebbe bestemmiato, almeno a giudicare dalla sua espressione del viso, invece si limitò a un sofferto “è la prima volta, dimmi la verità!”

“Nooooooo figurati” risposi io “è la foga”. Si, un po’ era vero. Il primo pisello sbattuto sul viso dopo una pila interminabile di postalmarket e di giornaletti porno trovati per strada o spizzati di nascosto in edicola pareva quasi un dono divino. Il terzo segreto di Fatima fu invece il fatto che ogni uomo ce l’ha diverso oltre che nelle dimensioni, anche nella forma. Il suo curvava all’insù a mò di banana. Molto diverso dal mio. Mi pareva quasi strano maneggiare un arco.

Mentre arrossivo per la figura di merda e accentuavo i gemiti come nel peggior film porno, perché non sembrasse che non godevo abbastanza, lo sentii scendere piano piano. Fece quello che non riuscii a fare io. Come a dire “guarda e impara”. E ci sapeva fare, lo stronzo. 

Passarono più o meno due minuti scarsi quando esplosi di piacere. Mi baciò. Si componeva così una sequenza di azioni un po’ atipica, conclusasi poi da parte sua con una sessione di autoerotismo. Si, non ero propriamente un Dio del sesso. Ricordo il rumore delle decine di bracciali che circondavano il suo polso e il fatto che dopo cinque minuti mi ritrovai coperto di…

Tentai di rimediare al mattino, mentre il bar sotto casa passava Hung up di Madonna e decine di giovani schiamazzavano come le peggiori corteggiatrici della De Filippi. Lo svegliai senza praticargli una circoncisione senza anestesia, cercando di mettere in pratica ciò che lui mi aveva insegnato nella breve lezione della sera prima. Un aroma di caffé invadeva la stanza. I nonni al piano di sotto preparavano la colazione. A voler essere maiali, noi al piano di sopra stavamo preparando la panna. La seconda volta andò decisamente meglio, almeno dal punto di vista fisico.  

Infatti, al di là di quel tipo di piacere mi sentivo mentalmente distrutto. Provavo un senso di colpa fortissimo mentre suo nonno mi mostrava tutti gli alberi del suo orto. (Che detto così potrebbe suonare ambiguo, ma no, me li mostrava per davvero e si vantava, mentre io gli facevo complimenti) Pensavo alle bugie dette, a quelle che ancora avrei dovuto dire, sia ai miei che ai suoi genitori che si erano mostrati così tanto disponibili e carini con me. Provavo tristezza anche mentre in un angolino coccolavo quella stronza della sua cagnetta e pensavo che non avrei mai potuto reggere una vita intera fatta di menzogne e falsità.

Nel frattempo tra la cucina e la sala da pranzo, giusto per aumentare i miei sensi di colpa, i preparativi per una mega tavolata con tutti i suoi parenti erano quasi giunti al termine…

Gigi

venerdì 26 agosto 2011

La prima volta (summer re-edition parte 6°)

 
Tra il collo e la guancia. Perché non mi potevo aspettare altro da uno che per toccarti il pisello parte dal ginocchio. Forse sperava mi arrivasse fino a lì e si disperava ogni volta che salendo di qualche centimetro non lo trovava. 
Ma proprio sul più bello fece irruzione quel rompicoglioni del suo cane che si appese alla mia gamba, seguito da un rumore di passi che correvano su per le scale. Mi staccai bruscamente da quel caldo abbraccio e feci finta di cercare qualcosa nello zaino. Un pacco di fazzoletti saltò fuori provvidenzialmente mentre sua madre ci chiedeva se per cena avessimo preferito menù di pesce o menù di terra.
Avrei voluto rispondere “uccelli”, ma totalmente inebetito da quel secondo tentativo di contatto fisico non risposi. Fece lui al mio posto che disse l’unica cosa che non doveva dire. Pesce. Giocando maliziosamente col doppio senso che a quell’età ha ogni parola che esce di bocca. 
Odio il pesce, non sopporto l’odore, tollero a malapena la vista, schifo completamente i crostacei, i molluschi e qualsiasi cosa eccessivamente viscida.

Anelli di calamari fritti, polpi in umido, sardine al forno, insalata di mare, gamberoni, cozze e vongole servite in un piatto da portata gigante stracarico fino ai bordi. Non sapevo nemmeno da quale bestia iniziare, mentre tentavo di tenere a bada i conati che spingevano su per l’esofago. Il primo polpetto scivolo giù in gola come fosse una pastiglia. Non osai masticarlo. Immaginavo le piccole ventose che mi si attaccavano maledettamente al palato e gli occhi schizzare fuori dalle orbite mentre un molare gli comprimeva il cranio. Nel frattempo i gamberoni sogghignavano sul piatto, col loro occhio nero e quelle zampe luride che avevano solcato chissà quali fondali marini. Lo squartai con le mani cercando di imitare ciò che facevano gli altri, mentre staccavo col coltello pezzi abbastanza piccoli da poter essere ingoiati interi. Andò un po’ meglio con gli anelli di calamari fritti e con le cozze che, con tanti sorsi d’acqua, scendevano nello stomaco senza intoppi.

“E’ tutto buonissimo signor Stefano”, dissi tra un tentativo di rigurgito e l’altro. “non avevo mai mangiato del pesce così buono”. Falso come i provini di Amici. Non avevo mai mangiato pesce, punto.

“Chiamami pure Stefano, dammi del tu se no mi fai sentire vecchio”. Era un tipo affabile, mio suocero. Che se avesse saputo cosa sarebbe successo di lì a poco avrebbe trovato immediatamente modi alternativi di utilizzare i suoi set di coltelli da cuoco.

Dopo quell’estrema prova fisica uscimmo. Conobbi la maggior parte dei suoi amici, ai quali fui presentato come un cugino venuto da lontano. Solo uno fece fuoco su di me con una raffica di domande. Poco dopo venni a sapere che stavo per sbattermi il ragazzo che sognava da una vita.

A pensarci oggi mi chiedo quanto all’epoca fossi cretino. Catapultato in una città lontanissima dalla mia, con gente che non avevo mai visto in vita mia, mentre il ragazzo che “frequentavo” da pochi mesi

   mi faceva conoscere genitori, parenti, amici e perfino conoscenti. Perfino le bariste che gli servivano il caffè ogni mattina. 


Ma la conoscenza che più di tutte mi colpì, fu quella col suo pisello, quella stessa sera, mentre mi maledicevo per aver scordato come un pirla il pigiama a casa.

"Non ne hai bisogno” disse lui, mentre con uno spintone mi fece letteralmente volare sul matrimoniale. Nella stanza accanto, i suoi nonni, alle due di notte dormivano beati.

Gigi

A volte ritornano

Purtroppo non vi siete liberati di me ;)


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giovedì 25 agosto 2011

La prima volta (summer re-edition parte 5°)


Intorno a noi decine di casalinghe si destreggiavano tra uno scaffale e l’altro alle prese con l’eterno dilemma “convenienza o qualità”? 
Alcuni ragazzi che probabilmente avevano marinato la scuola sbraitavano nel reparto dolciumi. Li ricordo bene perché avevo paura che mi notassero, avevo paura che qualcuno lì intorno mi conoscesse, avevo paura che qualcuno capisse ciò che in realtà stava succedendo. 
Ci stringemmo la mano e ci demmo due baci casti sulla guancia. Come due vecchi amici che si rincontrano dopo tanto tempo. 
Ho da sempre il terrore del silenzio dopo i primi minuti nei quali si incontra qualcuno. Tipo quando saluti con i classici due o tre baci e nel frattempo butti lì un “come va?” che si accavalla al “come va” dell’altra persona e innesca un “bene tu?” - “bene grazie”. E dopo bisogna vagliare velocemente le ipotesi che nel cervello suggeriscono la prossima mossa per non fare la figura del pesce lesso. 
Figura che poi puntualmente faccio, grazie a un’innata capacità di surfare sulle banalità da primo incontro.

“Ti facevo più alto”. Sono questi i momenti in cui vorrei picchiare forte la testa contro un muro o tirarmi un calcio sulle palle. Fossi alto, dico, ci potrebbe anche stare. Ma un candido volpino che incontra uno yeti dovrebbe solo avere la bontà di tacere. Perché poi solitamente mi sento rispondere “anche io” nel migliore dei casi, “ma se mi arrivi giusto giusto lì”, nel peggiore. Che poi tanto peggiore non è. Quando la conversazione sfocia nelle allusioni sessuali mi sento più a mio agio. 

Lo accompagnai alla cassa, notevolmente imbarazzato. Indossava degli orecchini orribili, una patacca mostruosa in un orecchio e un coniglietto di playboy luccicante sull’altro. Una catena che avrebbe fatto felice Fiammetta Cicogna, di quelle che si usano per bloccare cancelli e biciclette, con annesso crocefisso gigante, campeggiava sopra il suo petto villoso, nascosto da una maglietta dentro la quale si poteva stare solo in apnea. Lo aiutai ad imbustare la spesa e ci avviammo alla macchina. Iniziai a sfotterlo simpaticamente per tentare di smorzare la tensione, senza esagerare. Una lucertola terribile, scolorita dal sole, faceva capolino sul cruscotto, mentre un paio di dadi pelosi la osservavano appena dietro lo specchietto retrovisore. 

Parlammo tanto, ci raccontammo di come fosse strano vederci dopo quei mesi di telefonate e di messaggi, di come fosse bello finalmente guardarci negli occhi, di come fossero diverse le nostre voci live. Decidemmo di andare a pranzo al Mc Donald’s più vicino. Io non avevo comunque fame, lo assecondai e ci sedemmo al tavolo a commentare il culo di ogni ragazzo che ci passava davanti. Parlammo tanto della mia paura di essere scoperto dai miei, del come giustificare la nostra “amicizia” ai suoi. Cercammo di mettere su delle teorie convincenti e alla fine optammo per la più stupida e improbabile. Conoscenza alla visita di leva, che ovviamente io non avevo mai fatto avendola rimandata per motivi di studio.

L’imbarazzo ben presto lasciò il posto ad una sorta di complicità; decidemmo di partire. In macchina, lo ricordo come fosse oggi, riecheggiava “t’innamorerai” di Marco Masini. Lui cantava, io conoscevo solo il ritornello. La sua mano aveva iniziato a percorrere con una certa nonchalance i miei blu jeans, partendo dal ginocchio. In silenzio pregai che si sbrigasse a salire perché il ginocchio non è mai stata per me una zona propriamente erogena. Qualcosa però ancora mi bloccava, non riuscivo a star tranquillo, non mi comportavo come avrei voluto, non mi sentivo completamente libero. Mezz’ora (ancora oggi non so come ho fatto a resistere tanto al sonno patologico che mi assale su qualsiasi mezzo di trasporto) e la sua mano scivolò nell’interno coscia. Sotto le religiose vesti cominciò ad intravedersi la perfetta unione tra Ilona Staller e Moana Pozzi. “From Jamaica to the world, it’s just love, it’s just love” cantava Bob Sinclar. Probabilmente stanco di vedermi inerte, inutile come un manichino nudo nella vetrina di negozio di vestiti, prese la mia mano e la posò delicatamente sul suo ginocchio. Probabilmente era un feticista. Con quella mossa tuttavia mi aveva dato il la, aveva liberato le mie voglie assopite e in meno di cinque minuti risalii fino al pacco. Mi sfiorò il pensiero di piantarci anche la lingua, ma avevo vent’anni e avrei voluto viverne almeno altri 80. La cintura borchiata, stretta due buchi di troppo, mi fece desistere dall’infilare la mia mano dentro le sue mutande. Mi limitai all’apertura della zip dei jeans, come se al primo Autogrill volessi portare il suo uccello a pisciare.

Finalmente arrivammo da lui. Ad accoglierci nel cortile di casa, sua madre e sua nonna. Non so per quale motivo ma a volte la mia mente fa delle associazioni strane e me le ripropone nei momenti meno opportuni. Succedeva spesso in chiesa, quando sull’altare alla destra del parroco, mi imponevo di non ridere e puntualmente, di fronte a tutti non riuscivo a trattenermi. O come durante la veglia pasquale quando pensando in continuazione di dover restare sveglio mi addormentai sulle sedie rivestite di raso rosso alla destra del tabernacolo.  
In quel caso, mentre sua madre festante mi porgeva la mano per salutarmi, io non potevo fare a meno di pensare “signora, sapesse cosa stringeva questa mano venti minuti fa”.
Il tempo dei soliti convenevoli, di conoscere sua nonna e la sua cagnolina, di bere una Fanta e andammo a casa dei suoi nonni, dove appunto avremmo dormito. L’appartamento era deserto, mi accompagnò in camera. Nella penombra svettava un letto rigorosamente matrimoniale. Poggiai la valigia e mi voltai per uscire, quando lui mi afferrò da dietro e mi strinse forte. Delicatamente mi appoggiò all’anta dell’armadio e mi baciò…

Gigi

martedì 23 agosto 2011

Vacanze Finite…o forse no.

  
Sole, mare e tanto relax.
Il rientro dalle vacanze è terribilmente traumatico pur non dovendo andare a lavorare. Sono belli i ritmi, la routine che diventa propria in pochissimi giorni, il fatto che, nonostante ci si svegli presto la mattina, alle dieci di notte si abbia ancora voglia di uscire e fare tardi la sera.
E’ bello staccare completamente il cervello e metterlo in modalità divertimento perenne, è un po’ meno bello ritornare e trovare tutti i soliti pensieri che ti assalgono come un cane festante sull’uscio di casa.

Ma per fortuna si tratta solo di pochi giorni qui a casa prima di una stupenda mini vacanza alle soglie di Settembre.
Il fine settimana che verrà potrò finalmente riabbracciare Andrea, sperando che il sole cagliaritano non smetta di splendere proprio in quei giorni…

Era una vita che non facevamo più un conto alla rovescia.
Due anni che Andrea non mette piede in terra sarda, quella che il 25 giugno del 2009 ha visto nascere la nostra storia.

Finalmente avrò la possibilità di fargli conoscere i miei più cari amici e mostrargli le bellezze di una città che mi ha ospitato per un lungo periodo della mia vita.

Nella speranza di riuscire ad uscire dal letto!

Gigi

lunedì 22 agosto 2011

La prima volta (summer re-edition parte 4°)


Recitava più o meno così:

“Sono a Cagliari. Oggi dormo da un’amica, domani se ti va possiamo vederci, ma dopo devi venire via con me”.
Iniziai freneticamente a guardarmi attorno. Non l’avevo mai visto e lui non aveva mai visto me, ma l’idea che fosse in città mi metteva agitazione. Ci eravamo descritti spesso. Cercai tutte quelle caratteristiche che potevano balzare all’occhio. Alto circa un metro e ottanta, crestino semibiondotinto, orecchini. Mi resi quasi subito conto che la descrizione corrispondeva a quella del fighetto cagliaritano medio. Decisi di chiedere cosa intendesse con il “vieni via con me”, dato che il programma di Saviano e Fazio su raitre era ben lontano dall’essere messo in onda. 

La risposta mi gelò.

“Voglio portarti a casa mia, farti conoscere i miei amici, la mia famiglia, il posto in cui vivo”.

Sbottai malamente, lo chiamai e lo insultai. Purtroppo all’epoca non avevo ancora ben chiaro il concetto di diplomazia. In effetti cos’avrei potuto aspettarmi dalla stessa persona che aveva detto di volermi bene dopo sole poche ore di conoscenza. Gli dissi di odiare profondamente queste cose, di odiare il suo bruciare le tappe ad ogni costo, di odiare questo tipo di sorprese. Avrei preferito incontrarlo senza condizioni, ma purtroppo non riuscimmo a trovare un accordo. Misi giù. Lui continuò a chiamare, io non risposi. Fino all’una di quella sera, quando

stanchi e sfiniti decidemmo di smettere di litigare.
Parlammo del più e del meno come ogni notte. Parlammo di quell’incontro progettato da giorni e che forse stava per diventare realtà. Parlammo dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni, delle nostre paure, delle nostre paranoie. In fondo mi trovavo bene con lui, avevo  imparato a conoscerlo, mi fidavo. Senza che ancora oggi mi sappia dare una motivazione logica e sensata, gli comunicai di sentirmi finalmente pronto alla partenza con lui.

Il fatidico incontro avvenne all’interno di un centro commerciale, l’indomani alle nove di mattina. Il che significava dormire si e no quattro ore, ma quando si è giovani e sani lo si fa senza nessun tipo di problema.

La sveglia suonò ben due ore prima dell’incontro. Stanco e teso mi preparai. Avevo una fottuta paura. Non ci eravamo mai visti nemmeno in fotografia. Iniziai a chiedermi (alla buon’ora) come avrei fatto a riconoscerlo. Mi si strinse lo stomaco e una vagonata di domande mi piombò addosso. E se non gli piaccio? E se non mi piace? E se non riesco a parlare? E se rimane deluso? 
Uscii di casa col tipico mal di pancia da primo incontro e in venti minuti arrivai al centro commerciale, entrai. 
Decisi di coprire tutta la superficie del supermercato partendo dal primo scaffale. Freneticamente iniziai la ricerca. Lui no, lui no, lui no. Lo ricordo come fosse oggi, arrivai al banco della macelleria. Stava lì, carrello semipieno che ordinava della carne. Alto, orecchini, crestino semi-biondo, non magrissimo, occhiali, jeans, maglietta blu a maniche lunghe con orologio bene in vista chiuso sopra la manica. Non avevo dubbi era lui. Il primo impatto fu abbastanza deludente, come faccio di solito, avevo viaggiato molto con la fantasia. Sognavo Brad Pitt e mi si era presentato davanti Antonino di Amici nonsoqualeedizione. Lo seguii, cercai di carpire qualcosa in più sulla sua personalità da ciò che infilava nel carrello, come uno di quei test idioti che si trovano su Oggi. “Dimmi che pasta compra e ti dirò chi è”.  Dopo una decina di minuti, poco prima di incorrere in eventuali denunce per stalking,  passai velocemente nel corridoio tra gli scaffali di fianco al suo e lo aspettai al varco, come se lo dovessi stordire a colpi di baguette. Appena fu davanti a me bloccai col piede il suo carrello. Come a dire “bello, o paghi il pizzo o non prosegui”. Ci guardammo negli occhi. Due secondi di smarrimento, un sorriso da ebete e finalmente ci conoscemmo.

Gigi

domenica 21 agosto 2011

Hello Kitty.

Era uno dei miei cartoni animati preferiti da bambino. Le videocassette Walt Disney costavano troppo per noi, così mia madre per non farci mai mancare una buona dose di cartoni animati registrava quello che poteva alla tv. In mezzo c’erano finiti Hello Kitty, Duffy Duck, Bugs Bunny, La Spada nella Roccia e Alice nel Paese delle Meraviglie.
Cartoni animati che ancora oggi adoro. Mi ricordano quando sul divano, con mia sorellina, li guardavamo a rotazione mentre mamma stirava.
L’unica videocassetta originale Disney che ho avuto è stata Il Re Leone.
Piango ancora oggi ogni volta che muore Mufasa.

Ma sto post serviva solo per introdurre la canzone trash del mese. A voi, direttamente da Napoli, Rosina De Vivo con Hello Kitty.




Aridatece Cristina D’avena.

Gigi

sabato 20 agosto 2011

La prima volta (summer re-edition parte 3°)


Le verità del ghiaccio, ultimo libro di Dan Brown stampato qua in Italia, fu il regalo di quel famoso 23 Dicembre 2005. Verità scomode, pesanti, che non riuscivo più a tener dentro. Verità che con gli anni premevano, mi laceravano, mi facevano sentire bugiardo, mi impedivano di parlare sinceramente ai miei migliori amici. Avevo bisogno di raccontare ciò che stavo vivendo, di condividerlo con le persone a me più care, di ricevere raccomandazioni e consigli che mai avrei ascoltato. E così, all’una di notte, in un parcheggio deserto della mia città, vuotai il sacco. Ma non lo feci con l’intenzione di dire proprio tutto. C’erano ancora troppe cose che testardamente non ammettevo a me stesso, non ero certamente pronto a farlo con altri.

Così cercai la via più semplice per sottolineare che il mio “grado di omosessualità” era piuttosto basso.

“Ho conosciuto un ragazzo, ci sentiamo da più di un mese e abbiamo deciso di vederci”

Silenzio.

“Vorrei provare a combinare qualcosa, vorrei capire se potrebbe funzionare, ma niente di impegnativo, ci voglio solo trombare”

Silenzio.

“Nel senso che non sono sicuro che possa piacermi, magari mi fa schifo, magari mi piace, è giusto una curiosità a livello sessuale che voglio togliermi. Comunque non provo niente per lui”

Mi guardarono, io sorrisi imbarazzato. Non sapevano che dire. Dopo una serie di secondi interminabili iniziarono a parlare, insieme. Si fermarono e ripresero, ancora insieme.  Finché lui per primo riprese la parola

”Lo sapevo, lo immaginavo, te lo dicevo. Te lo dicevo che eri frocio” sorrise. “Ma sei sicuro di questa cosa? Ne sei convinto? Mah…sono perplesso. Magari è una cosa passeggera, forse non dovresti più sentirlo”

Rispose direttamente lei, rivolta a lui:

”Ma smettila, deve fare quello che si sente. Se lo vuole incontrare fa bene, se è indeciso è giusto che si tolga ogni dubbio”

Lui:

“Dove l’hai conosciuto? Come si chiama? Quanti anni ha?”

Io risposi, cercai di raccontare qualche aneddoto, qualche storia che ci riguardava.

Lui restò comunque perplesso. Era visibilmente preoccupato, non si era mai fidato delle persone conosciute sul web. Ipotizzò che per quanto ne potessi sapere io, sarebbe potuto essere pure un quarantenne ed avere inventato un’identità fittizia.
Si incazzò anche per le mie parole.

“Lo vuoi trombare? Vuoi trombare uno che non hai nemmeno mai visto? Ma ti rendi conto? Ma nemmeno gli animali”. 

Cercai di fare l’indifferente. Provai a ridimensionare le crepe di quella corazza di ghiaccio che fino ad allora mi aveva impedito di parlare. Preso da un’improvvisa paura, sottolineai il fatto che di lui, sentimentalmente parlando, non mi importava niente. Che per me si trattava di un gioco, una curiosità, un numero. “Ci vado a letto e dimentico, basta”, dicevo.
Più mi giustificavo più peggioravo la situazione tanto che mi feci riaccompagnare a casa. 
Poco dopo, lei mi scrisse un sms. Erano ancora insieme, cercò di tranquillizzarmi. Ammisi di aver fatto dei ragionamenti assurdi e dissi di provare qualcosa oltre il puro piacere fisico di fare sesso con un ragazzo. Li sommersi con le solite paranoie. Paura di non essere capito, paura di essere lasciato solo, paura di venire sputtanato. Paure infondate. Finché non mi convinsero ad andare a dormire scacciando tutti quei pensieri pessimi che mi avevano fatto rasentare la tachicardia. Avevo fatto il mio primo coming out. Una cosa normale per molti, una piccola conquista per me.

Tra parenti, cenoni, pranzi, panettoni e regali trascorsero quelle particolari vacanze Natalizie. Avevo già stabilito la data del rientro a Cagliari. 7 Gennaio 2006, il giorno dopo l’epifania. E proprio sulla via del ritorno arrivò un messaggio che mai mi sarei aspettato…

Gigi

venerdì 19 agosto 2011

Meglio…

Una botta di culo…



O dei buoni riflessi?



Gigi

giovedì 18 agosto 2011

La prima volta (summer re-edition parte 2°)


“Pronto”, rispose lui.

Scoppiai a ridere. E’ un must quando sento per la prima volta la voce di qualcuno che ho sempre sentito per sms o in chat. Perché in quel momento le aspettative che nel frattempo mi sono fatto trovano conferma o vengono completamente smentite.
Parlammo per delle ore, raccontandoci l’impossibile e sfiorando, quella sera stessa l’ipotesi di incontrarci un fantomatico giorno.

Si, tipo come quando dici a un amico “ci vediamo presto per un caffé”, e nel momento in cui lo dici sai già che non vedrai per un bel pezzo né lui né quel caffé.

Abitando a 170 chilometri di distanza, separati da strade di montagna e tornanti a picco sul mare era molto complicato vedersi. Ci sarebbero volute ore di pullman e nonostante avessimo ormai iniziato a fantasticare su un nostro possibile incontro, nessuno dei due pareva seriamente intenzionato ad intraprendere un viaggio simile. Ma il problema principale non era quello. Entrambi non eravamo ancora dichiarati, nessuno né amici né conoscenti sapeva di noi. Ancora vigeva quella paura che ti porta ad essere sempre e comunque cauto, che non ti permette di esporti, che non ti fa star tranquillo, che ti fa porre mille interrogativi e che non ti fa sentire libero come in realtà vorresti.

Da quella sera in poi, tuttavia, iniziammo a telefonarci ogni notte prima di dormire. Con la pioggia, con il vento, con il gelo di Dicembre io ero comunque contento di scappare in strada quando la nona sinfonia di Beethoven riecheggiava nella mia camera. Fino a quando non provai ad infilare la testa sotto due coperte e un piumino. La voce così veniva soffocata e nella camera di fianco alla mia non si sentiva niente, scongiurando finalmente l’effetto “casa di Barbie” e dando il via all’evento “30 gradi a Natale in pochi minuti”.

Quelle settimane segnarono una svolta importante nella mia vita. Mi aiutarono a prendere coscienza del fatto che non facevo niente di male. Dopo quasi due mesi e ore di telefonate mi ero affezionato a lui, ci stavo bene, mi piaceva, desideravo conoscerlo di persona. Avevo un pò meno paura e dovevo approfittarne. Chiesi così al mio migliore amico e alla mia migliore amica di uscire insieme. Era il 23 Dicembre del 2005. La scusa ufficiale era il consueto scambio di regali. In realtà mi sentivo finalmente pronto.

Pronto per il mio primo doppio coming out…

Gigi

mercoledì 17 agosto 2011

La prima volta (summer re-edition)


2 Novembre 2005
Era una sera come le altre, solito posto, solita chat, solite persone. Quando mi scrisse per la prima volta lui, che aveva un 85 nel nickname, che per me era già un ottimo biglietto da visita. Uno dei pochi che si differenziava dai soliti 22cm o da date di nascita che rasentavano la preistoria alla ricerca di qualche baby-dinosauro.
Parlammo fino alle quattro di quella mattina, lui in un italiano stentato che mi faceva girare le palle, io che tentavo di capire ciò che diceva tra una doppia in più, una h in meno e gli accenti delle e a puttane. Mi chiese il numero di cellulare, che io ovviamente non davo quasi a nessuno. Mica perché me la tiravo, avevo solo paura che tramite numero risalissero alla mia identità attraverso controlli incrociati delle forze dell’ordine. Non ero paranoico, di più.
Stremato dai miei no, lui che l’indomani avrebbe dovuto svegliarsi alle sei per preparare le colazioni nel bar-ristorante dove lavorava, lanciò lì un “Ti Voglio Bene”.
Ecco, fuori luogo come cantare Zombie dei Cranberries al funerale di Mike Bongiorno. Passò tutta l’ora successiva a scusarsi, sotto i miei pesanti cazziatoni e tutto ciò che ottenne fu la possibilità di sentirci ancora il giorno dopo. E solo per pietà.

3 Novembre 2005
Le scuse continuarono per tutto il giorno successivo. Ho un debole particolare per le persone che lavorano. Non nel senso che portano soldi a casa permettendomi di fare il mantenuto. Non lo so, a un ragazzo che lavora, attivo, che campa dai frutti delle sue fatiche e che per questo non ha concluso gli studi, posso anche perdonare la valanga di errori grammaticali. Alla fine, ciò che si prova, si può dimostrare anche con i fatti, senza necessariamente scriverlo su carta o per sms.
Così gli diedi il mio numero di cellulare e cominciò il nostro romanzo epistolare dell’estate in sms, roba che dovrei citare Alfonso Luigi Marra per violazione di Copyright.
Dopo due settimane

arrivò la fatidica telefonata. Io avevo tempi abbastanza lunghi, facevo sempre le cose con calma, non ero abituato a conoscere ragazzi vivendo in un piccolo paesino di provincia.
Era tarda sera, lui era in macchina, aveva appena portato a termine la sua consegna. Io stavo a casa, un appartamento degli anni sessanta con le pareti in cartapesta dove la privacy non era ancora stata inventata. Indossai il giubbotto e mi precipitai in strada per rispondere. Le pettegole della mia strada non erano nulla in confronto alle paraboliche dei miei coinquilini.
 
“Pronto….”

Gigi

martedì 16 agosto 2011

Solidarietà

solidarietà

Gigi

lunedì 15 agosto 2011

Buon Ferragosto!


Bloginpillole vi augura Buon Ferragosto, ovunque voi siate, con chiunque voi siate, qualsiasi cosa voi stiate facendo. Mangiate, festeggiate, divertitevi e soprattutto TROMBATE. Se potete.

Nel caso non possiate, vi regalo la foto di uno stupendo uomo muscoloso. Che forse è un po’ troppo hard per i nostri standard. 
Per evitare la censura la inserirò QUI IN QUESTO LINK.

A Presto,

Gigi e Mirkos

domenica 14 agosto 2011

Un nuovo inizio. No beh, non proprio.

Era il lontano giugno del 2009 quando tentai di raccontare la mia prima volta a letto con un uomo. Anche all’epoca si trattava di un racconto diviso in più parti, che a rileggerlo ora mi fa un po’ rabbrividire per quanto fossi stupido due anni fa. Che poi a rileggere queste righe tra due anni sarò stupido uguale e così via. Dicono che tutti gli autori di stocazzo reputino stupide le proprie opere e talvolta non riescano proprio più a rileggerle. Come i cantanti che odiano dover cantare dopo dieci anni di tour e di dischi il singolo che li ha resi famosi.

E niente, diciamo che quella fu una storia che rimase incompleta. Anzi peggio, si interruppe proprio nel culmine della passione. Come la preview di un film porno che guarda caso blocca il caricamento proprio quando il figo di turno si è appena calato le braghe.

Visto che siamo in estate, che l’estate è un ottimo periodo per le repliche, che anche in Tv non mancano i vari taglia e cuci, visto che sarò in vacanza e non so bene con quale frequenza potrò pubblicare, visto anche che i lettori che avevamo nel 2009 sono un po’ cambiati rispetto a quelli 2.0 del 2011, visto che purtroppo di prime volte non credo ne avrò tante altre e devopurcamparesuquellechehoavuto, visto che pure il cinema ha osato mandare in sala una riedizione dell’esorcista, per l’occasione riediterò le cinque parti riguardanti la mia prima volta e darò loro la degna conclusione che meritano.

Dove? Qui su Blog In Pillole nei prossimi giorni.

Gigi

P.S. E non provate a cercare la vecchia edizione…perché è sparita :)

sabato 13 agosto 2011

Letture estive.





 

Quindi, qual è la vostra lettura estiva preferita?

Come? Che c’entra l’ultimo? Secondo me ha i sette volumi di Harry Potter dentro le mutande!

Gigi

venerdì 12 agosto 2011

Stelle Cadenti.


Avevo 16 anni. Sopra la mia testa un cielo nero punteggiato di stelle. Stavo supino, sull’erba nel cortile della mia casa, aspettando che la prima stella cadente mi sfrecciasse davanti. Il silenzio della notte, a quell’età, è una lama a doppio taglio. La notte non giudica; culla i tuoi pensieri sulla fresca brezza d’Agosto. La notte non fa mai mancare un rifugio a chi di giorno rifugge la realtà. Ma tra le zanzare e il gracidare delle rane, usufruire di quella tranquillità, significava fare i conti con sé stessi.
Avevo bisogno di quegli improvvisi bagliori di luce nel cielo. Avevo bisogno di credere in qualcosa che mi avrebbe stravolto l’esistenza, come volevo io. Non volevo più essere gay. Non desideravo più una vita fatta di solitudine e dolore. Volevo ritornare normale, come pochi anni prima, quando la felicità non aveva sesso. Volevo guarire da quella terribile malattia che la natura mi aveva inflitto. Ricordo ancora, mentre le lacrime solcavano il mio viso, che il pensiero costante era solo uno:

"Dio ti prego, fammi ritornare normale”.

Avevo 18 anni. Il prato era sempre lo stesso, ma la visuale era un po’ ridotta a causa degli alberi che rigogliosi crescevano nel cortile. Quello con le stelle cadenti è sempre stato un appuntamento fisso. Una delle poche occasioni in cui mi illudevo di poter sovvertire l’ordine naturale delle cose. Le rane nel frattempo avevano smesso di gracidare. La crescita edilizia di quegli anni aveva irrimediabilmente danneggiato il loro habitat. Le domande che ponevo a me stesso erano forse l’unica cosa che non accennava a cambiare nel tempo. Perché io? Perché non posso chiudere gli occhi e svegliarmi come il mio migliore amico? Perché non posso scambiare questo dolore con la felicità di qualcun altro? Dicevo a me stesso che mai nella vita avrei accettato quella dura realtà. Meglio la morte che una vita passata in solitudine a fingere di essere chi non sarei mai potuto diventare. Passavano le stelle cadenti e il desiderio cambiava:

“Dio ti prego, se non puoi farmi ritornare normale, poni fine alle mie sofferenze”.

Avevo 20 anni. L’impatto con la città più grande della Sardegna mi aveva iniettato una buona dose di speranza. Per le vacanze estive, tuttavia, potevo ritornare a casa. Una linea di cemento aveva diviso il prato di casa in due parti uguali. Stavo esattamente a metà. Si faceva largo a poco a poco la consapevolezza che prima o poi la parte di me che ancora detestavo avrebbe preso il sopravvento. Avevo smesso di ignorarla, di fare finta che non esistesse. Avevo smesso di combatterla. Guardavo le stelle e pensavo:

"Dio ti prego, aiutami a convivere con questo fardello, non lasciarmi da solo”.

A 22 anni preferivo guardare le stelle fuori dal prato di casa. C’erano stati nel frattempo tanti cambiamenti. Il duro percorso dell’accettazione, almeno con me stesso, era quasi giunto al termine. Non avevo più paura di restare solo per sempre e di dover vivere una vita di finzione. I pianti in solitudine sotto le coperte erano cessati. Idealmente sapevo che c’erano tantissimi ragazzi che come me soffrivano. Sapevo che almeno un pochino, qualcuno, mi faceva compagnia. Anche se non sapevo dove.
Guardando il cielo chiedevo:

"Dio ti prego, fa che possa incontrare un ragazzo che mi ami, che amo e che riesca a mettere su famiglia”.

Ora, a 25 anni, mi sono rimaste ben poche cose da chiedere alle stelle. Da quando ho conosciuto Andrea, posso dire di essere finalmente felice.

Gigi

giovedì 11 agosto 2011

Carlo Giovanardi al Mardi Gras “di matrimonio gay, con me, non si può discutere”.


Che sarebbe come andare a “La prova del cuoco” di Antonella Clerici e non parlare di cucina. Questa una delle
tante dichiarazioni che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle politiche della famiglia, ha rilasciato durante l’inaugurazione della stagione estiva del Mardi Gras noto locale LGBT di Torre del Lago. Tra i presenti vari importanti esponenti del mondo omosessuale, a cominciare dal presidente dell’Arcigay Paolo Patané.

Proprio in un post di qualche giorno fa sottolineavo quanto fosse, a mio parere deleterio, dare voce a personaggi del calibro di Giovanardi-Buttiglione-Binetti, (aggiungerei anche Daniela Santanché) vista l’evidente impossibilità di instaurare un dibattito serio e costruttivo con tali soggetti. Non solo poi i succitati individui esprimono idee piuttosto discutibili eticamente parlando quando non richiesto, in più vengono addirittura invitati a casa nostra, come se altrove non ricevessero abbastanza spazio.

Per fare cosa poi? Per sbatterci in faccia un sondaggio realizzato su un campione di 3000 italiani (a fronte dei 57 milioni che abitano la penisola) che dice che il 65% di questi è contrario al matrimonio gay, tra l’altro, a detta dello stesso Patané, con domande assolutamente faziose, volte a ricevere una risposta in un senso ben preciso.

In pratica quella andata in scena al Mardi Gras è una situazione al limite del paradossale. Come invitare a cena Hannibal Lecter e divorare insieme la propria moglie. 

Continuano poi infatti le dichiarazioni del senatore Giovanardi sulla proposta di legge che avrebbe dovuto prevedere aggravanti per reati di omofobia bocciata qualche tempo fa:
"Sarei stato d'accordo se fosse stata prevista una aggravante per qualsiasi violenza determinata da un orientamento sessuale. Ma non posso accettare che la violenza su un omosessuale sia più grave di una violenza sulle donne"


Come detto sempre non molto tempo fa nei commenti di questo post, la violenza è sempre violenza. Ma ci sono persone che purtroppo sono vittime ogni giorno di soprusi e che meritano una protezione maggiore da parte dello Stato Italiano. Che siano essi donne o omosessuali.
Così sembra tutto una grande persa in giro. In pratica per evitare ipotetiche discriminazioni sul piano costituzionale, si lasciano le cose esattamente come stanno, quando invece, come detto dallo stesso Giovanardi, basterebbe estendere le aggravanti a “qualsiasi violenza determinata da un orientamento sessuale” che voglio dire, è sempre meglio della barbarie giuridica nella quale siamo da tempo relegati.

Detto ciò, per concludere in bellezza, queste sono state le sue parole:
"di matrimonio gay con me non si può discutere. Semmai possiamo parlare di modifiche del codice civile e di maggiori diritti per le minoranze, questo si'".

Gran bella conquista insomma.

Gigi

mercoledì 10 agosto 2011

Terrore, Speranza, Rinascita.

Ci sono giornate che speri non si ripetano mai più. Attimi che ti cambiano irrimediabilmente la vita. Notizie che dall’altro capo del telefono ti lasciano senza fiato. Ti travolgono, ti pugnalano, ti tramortiscono. Perché a volte, la verità, è come un arpione che ti penetra lo stomaco e vi resta aggrappato con le possenti ali d’acciaio. Il respiro si interrompe, stretto nella morsa del dolore.
Un dolore che non è fisico ma è come se lo fosse. Improvvisamente il cervello cerca di rispondere a tutti quegli stimoli ma non riesce a tenere testa a quella galoppata di pensieri che si imbizzarriscono in un crescendo di terrore. Cerca di prendere il controllo della situazione, di dirti che, in un angolo remoto, c’è ancora una flebile speranza che tutto andrà bene. Ma è come cercare di tenere acceso un cerino durante un diluvio.

Poi la corsa in ospedale, le ore di attesa. I cazzotti in pieno viso dei medici che troncano qualsiasi speranza sul nascere. Non c’è posto per le illusioni lì. Non c’è posto nemmeno per i sogni. Non c’è posto per niente che non sia la dura realtà dei fatti. Non c’è posto, se non per un letto con un’infinità di macchinari accanto.

C’è tanto posto per la paura.

Il tempo è il nemico peggiore. I minuti scorrono lentamente, come l’acqua di una bottiglia col collo troppo stretto. Il tichettìo dell’orologio diventa un suono terribilmente familiare, in quel posto che di familiare vorresti non avesse niente. E pensi a quanto tempo hai sprecato, a quanto è ingiusta la vita, a come tutto può cambiare in un secondo. E’ solo questione di tempo. Vorresti poter tornare indietro, smettere di procrastinare e non aver rimandato così tante cose nella convinzione che a 25 anni si ha il mondo in mano. 

Ci sono giornate che ti risucchiano giù, in un baratro profondo. Che ti fanno piangere da mattina a sera di disperazione, fino a quando stremato, senza nemmeno accorgertene ti addormenti. Ma anche i sogni talvolta non lasciano scampo. O se per pura ipotesi lo facessero, al risveglio c’è sempre la realtà che ti accoglie con la falce in mano, pronta a mietere quel barlume di tranquillità che nel sonno il cervello ti ha donato.

Vedere una persona che ami, lottare per la vita, ti distrugge. Vorresti darle parte della tua, se servisse a farla stare bene. Vorresti dormire anche tu, come lei, per non respirare più l’odore della paura. Vorresti avere la certezza che tutto andrà bene, che è solo un brutto incidente di percorso, che tutte quelle settimane avranno solo una risoluzione positiva. Ma l’unica cosa certa è che l’incertezza, quella si, è dura a morire. 

Tre lunghi mesi prima di poter di nuovo respirare. Tre mesi vissuti fino in fondo, pesando ogni parola, scrutando ogni espressione sul volto dei dottori, cercando qualsiasi appiglio per restare aggrappato alla speranza. Tre mesi fatti anche di preghiere, alla ricerca di qualcuno in alto che ascolti i tuoi lamenti. Ironia della sorte, lo stesso che idealmente li ha provocati. Ma mica ci badi, perché in quei momenti, credere in qualcosa male non fa.

E ora che tutto sta tornando alla normalità e che il peggio è passato, restano solo gli insegnamenti di questa brutta esperienza e le persone che in un modo o nell’altro hanno fatto parte di questo lungo cammino.

A cominciare da Andrea, il ragazzo che amo e l’unico uomo che vorrei sposare. Perché nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia lui era lì, pronto a sorreggermi e a tirarmi su per un braccio mentre il dolore mi trascinava giù. Spero di poter essere sempre alla sua altezza e di meritarmi l’amore di un ragazzo così speciale, ora e sempre.

Non abbiate mai timore di esprimere i vostri sentimenti e non vergognatevi di farlo davanti ad altre persone, anche che sia solo un “Ti voglio bene”. Perché per tanto tempo, uno dei miei dispiaceri più grandi, è stato proprio un “ti voglio bene” non detto quando avrei potuto farlo.

E quando state male, questi pensieri sono ulteriori spine nel fianco.

Gigi

martedì 9 agosto 2011

Registro per le coppie omosessuali a Cagliari, scoppia il putiferio e l’omofobia dilaga.

 
L’assessore alle politiche sociali, Susanna Orrù, ha annunciato l’istituzione di un registro delle unioni civili (punto presente nel programma elettorale del neo sindaco Massimo Zedda) nella città di Cagliari che ha subito scatenato l’ira dell’ opposizione e ha dato modo a decine di omofobi sardi di uscire allo scoperto.

Sulle pagine de L’Unione Sarda, tuona il predecessore della Orrù, Anselmo Piras:
È solo gazzosa di sinistra. Il primo cittadino ha tolto il crocifisso dal proprio studio e adesso la sua Giunta propone il registro delle coppie di fatto, anche quelle omosessuali. Vorrei proprio sapere che cosa ne pensa la Chiesa, che per ora è stata molto silenziosa qui a Cagliari. Nelle altre città d'Italia, per un crocifisso tolto da un'aula di scuola succede il finimondo”.

 

 


Il primo passo è dunque quello di invocare l’aiuto delle gerarchie ecclesiastiche cagliaritane per contrastare il decadimento della moralità, come da più parti fatto notare. Ma è leggendo i commenti di decine di persone rozze e culturalmente arretrate che la Sardegna, mio malgrado, da il meglio si sé, segno terribilmente evidente di come l’essere tradizionalisti e attaccati alle proprie radici non è sempre motivo di vanto.  

Si inizia con tale Palino, che dall’alto della sua laurea ad Oxford, dice:
fatti una famiglia scoppa, rimani incinta, partorisci ,questa si chiama famigia, non a vivere sulla groppa degli altri come gli zingari!”

Che non contento poi ribadisce:
“soppa fatti i figli come le persone normali poi possiamo parlare di diritti! troppo comodo a vivere alle spalle degli altri( come i parassitti)ciao f”.

Rilancia COMPDL (nomen omen):
Sta istituendo il registro delle unioni civili che sono un grandissimo bluff ideologico, che ha un unico scopo: demolire la famiglia come l'abbiamo conosciuta: una promessa d'amore per sempre, nella quale nascono e crescono i figli”.

Sulla stessa linea anche Palmer63:

Le priorità della sinistra sono fondalmente tre:
1) Non fare;
2) Distruggere;
3) Andare contro natura.”


Chi spiega al primo ignorante che la famiglia non è formata solo da due persone che scopano, una delle quali poi resta incinta e partorisce? E la crescita del bambino? La sua educazione? Il non fargli mancare mai l’amore regalandogli una vita serena e per quanto possibile priva di preoccupazioni e dolori? Ma esistono veramente persone che pensano che “famiglia” sia solo sinonimo di “fare figli”? Domanda retorica, lo so.
E ciò che più mi fa innervosire è che tali ignoranti poi trasmettono tutto il loro ridotto bagaglio culturale ai propri bambini, contribuendo inevitabilmente a tirare su una nuova generazione di omofobi italiani.

E al secondo spieghiamo che “una promessa d’amore per sempre” può riguardare anche coppie omosessuali? E tra l’altro, visto il numero sempre crescente di divorzi, dei figli di genitori separati che ne facciamo? Come è possibile che certe persone prima di esprimere giudizi così pesanti non si fermino un attimo a pensare? Perché danno fiato alla bocca vomitando tesi che fanno acqua da tutte le parti?

Del terzo vorrei sottolineare il terzo punto. “Andare contro natura”. Ancora ci sono persone che si ostinano a battere su questo punto. Come se l’omosessualità fosse una scelta, come se fosse la nuova frontiera della trasgressione, come se si diventasse omosessuali giusto per andare controcorrente. E ogni volta bisogna spiegare a queste persone con evidenti deficit cognitivi che comportamenti omosessuali in natura sono tutt’altro che rari. Che l’amore non ha sesso e quello omosessuale non vale meno di quello eterosessuale.

Che grazie a persone come loro, ci sono centinaia di omosessuali sardi che soffrono in silenzio, oppressi dal bigottismo dei piccoli paesini di provincia, dove l’arretratezza culturale impedisce loro di essere se stessi e di donare tutto il proprio amore a chi lo merita, relegandoli ad una vita di tristezza e sofferenza.

Gigi

lunedì 8 agosto 2011

Impariamo Judas (rigorosamente in mutande).

Paws Up Little Monsters. Altro che zampe, se avesse almeno tolto la maglietta. Che poi tra l’altro è l’unico motivo che mi ha spinto a guardare il video fino alla fine. E ora che ci penso sarà lo stesso che non spingerà voi a farlo, visto lo spoiler. Va beh, ha un bel culo, guardate almeno i secondi iniziali.


Nel caso non è la coreografia che vi interessi, ma il ballerino, sotto un video per rimediare.



Gigi

domenica 7 agosto 2011

Giochi di mano, giochi di...

Durante le vacanze al mare, in attesa di mettersi a tavola potete giocare a questo gioco.

Occorrente:
- due toy-boy carini
- jeans a vita bassa possibilmente quasi calanti
- mani esperte

Et voilà il risultato




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sabato 6 agosto 2011

Daniela Santanché si “impressiona” per le nozze di Anna Paola Concia.


Intervistata telefonicamente da un giornalista del corriere, la Santanché spara a zero sulle nozze della deputata del PD Anna Paola Concia:

S:«Sono in vacanza… Vuol mica sapere della manovra economica?».

R:No, della Concia.

S:«Oh, che impressione…».

R:Guardi che non si è impressionata neppure la Binetti…

S:«E io invece sì! Io mi impressiono, voglio impressionarmi, accidenti!
Non voglio abituarmi a certe robe…».

R:Senta, non crede che…

S:«Io credo che la Concia si sia inventata una bella provocazione politica. Il guaio è che poi queste provocazioni finiscono però sui giornali, nei tigì… due donne, Dio santissimo, che si sposano… e allora io mi chiedo: ai figli dobbiamo dare questi esempi? Alla Concia non era sufficiente vivere una storia d’amore con la sua fidanzata?».

Per fortuna che c’è lei, paladina della moralità. Una che sta al governo perché adora la “posizione orizzontale”. L’ha detto lei…

Gigi

Un anno in 40 secondi.



Crescono sempre troppo in fretta.

Gigi

venerdì 5 agosto 2011

Dolci vagine da gustare…

 


Non so, se per caso una sera vi venisse voglia di leccarne una, per la modica cifra di 10 dollari. In alternativa qui si possono acquistare anche piselli.

Gigi

giovedì 4 agosto 2011

Tutti al mare.

Da Wikipedia:

Lo spiaggiamento di cetacei è un evento che accade quando un cetaceo o un gruppo di cetacei si smarrisce per varie cause, arenandosi sulla spiaggia: spesso muore per disidratazione, per l’impossibilità di sopportare il proprio peso oppure perché l’alta marea copre lo sfiatatoio.


Mariah Carey, dal suo Twitter, ci fa sapere che ora sta bene.

Gigi

P.S. Che roba infernale sto Twitter. Mi fa sentire vecchio. Non capisco come diavolo funziona.

Il nuovo Spider Man, latino e gay.


Si chiamerà Miles Morales il nuovo Uomo Ragno che sostituirà il personaggio di Peter Parker nel celebre fumetto della Marvel. Si parla ovviamente della versione Ultimate, creata appositamente per i giovani lettori, i cui protagonisti vivono in una sorta di universo parallelo, slegati dai corrispettivi della serie classica.
Le prime indiscrezioni parlano di un giovane ragazzo latino che nel corso della storyline potrebbe scoprirsi omosessuale.
I fan dovranno aspettare tuttavia il prossimo mese, data d’uscita del fumetto, per scoprire in che modo il nuovo Spider Man diventerà un supereroe. Sarà in qualche modo legato al suo predecessore ma avrà differenti abilità e soprattutto una diversa visione del mondo.

Non è una mossa pubblicitaria, assicurano i vertici della Marvel, ma si tratta solo di una presa di coscienza dei cambiamenti avvenuti nella società americana in questi ultimi anni, strizzando l’occhio verso ciò che purtroppo ancora oggi appare “diverso”.

Lodevole, a mio modesto parere. Soprattutto perché la serie in questione si rivolge ad un pubblico molto giovane.

Gigi

mercoledì 3 agosto 2011

Incontri ravvicinati.

Beccata in cucina, dalle foto non rende ma era lunga almeno 15 cm. L’ho presa e lasciata nell’orto. Per fortuna non ha deciso di amputarsi la coda.

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Gigi

martedì 2 agosto 2011

Salto sull’asta.

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Britney Spears, Washington, 1 Agosto 2011. L’emblema della femminilità.
(La amo, faccio coming out)

Gigi

Sono un martello pneumatico.


Lo scriverei infinite volte se avessi una lavagna e fossi colorato completamente di giallo, mentre mio padre rientra dal lavoro con una barretta di uranio in tasca.
Sono un picchio rosso maggiore, di quelli che passano le giornate a tamburellare fastidiosamente sugli alberi fino a quando non aprono un varco nella dura corteccia.
Sono la goccia d’acqua di un rubinetto che perde alle due del mattino, di quelle che si infrangono sulle stoviglie dimenticate dalla cena, il cui suono riecheggia per tutta la casa impendendoti di dormire.
Sono la sveglia che sta sul comodino, quella che a volte non senti, ma che se per sbaglio ascolti una volta, non riesci più a toglierti dalla testa il suono dei secondi che passano.


Sono un cane che abbaia nei momenti meno opportuni. Tipo quando al Tg c’è un servizio interessante o i protagonisti di un film si dichiarano amore eterno.
Sono la grandine che picchia sul tetto durante un diluvio invernale, che fa talmente casino da non sentire nient’altro che se stessa.
Sono un metronomo che misura il tempo musicale di un brano che non parte mai.
Sono un disco che salta. Torna indietro. Salta. Salta ancora.
Sono il cigolio di un cancello spostato dal vento, di quelli con la serratura distrutta, che o leghi o continueranno a sbattere in eterno.
Sono i tacchi della signoradelpianodisopra che non conosce mai tregua e odia usare le pantofole in casa.
Sono il ronzio di una radio senza stazione.

Sono un grande stronzo, a volte.

Scusami.



Gigi

lunedì 1 agosto 2011

Gli StudioS

Esami finiti!
Tesi finita! (o quasi)
Ferie iniziate!

E dopo tutti questi eventi, c'era bisogno indubbiamente di una piccola pausa iniziata con una piacevole rimpatriata di quattro blogger amici: Bert, Marco e Vince, ovviamente il quarto ero io. Noto fin dall'inizio che gli amici non hanno le idee molto chiare sul programma della giornata anzi direi che non ce l'avevano proprio e nonostante paurosi sforzi di spremitura di meningi non veniva fuori proprio nulla. Secondo me Atrapalo potrebbe venirgli incontro in questi casi disperati. Tocca dunque che mi precipiti in loro aiuto proponendogli una visita agli Studios di Cinecittà che quest'anno, dal mese di aprile e fino a tutto novembre, restano aperti al pubblico (mi raccomando non andate il martedì perchè sono chiusi -_-').

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Ci incamminiamo così con la nostra guida Emanuela tra i teatri di posa e le scenografie che hanno fatto da sfondo a tantissimi successi cinematografici.
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Per arrivare poi nella Rome dentro Roma


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Un ambiente così ben ricostruito che sembrava di essere ritornati indietro nel tempo di secoli. E pensare poi che tutto era fatto di legno, resina, poliestere insomma nulla era ciò che appariva. Perfino gli affreschi non erano dell’epoca, ma fedeli ricostruzioni

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E anche all’epoca c’erano i buongustai che abitavano in una casa tutta loro con tanto di insegne


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ed ovviamente non mancavano chi maldestramente voleva imitarli

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E poi un interessante piccolo museo cinematografico con gli abiti e gli oggetti utilizzati in alcuni film girati a Cinecittà come gli anelli e le collane utilizzate nel film Habemus Papam di Nanni Moretti

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oppure gli abiti di scena dell’indimenticabile Marchese del Grillo interpretato magistralmente da Alberto Sordi

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Una giornata che poi è continuata per le vie di Roma, per il Lungotevere e con una cena a Trastevere. Giornata indimenticabile anche grazie ad una compagnia di vera eccezione.


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